RIFLESSIONI DI UNO PSICOTERAPEUTA
Ho ascoltato una conferenza del dottor Franco Berrino, tenutasi il 2 maggio scorso, a proposito di benessere e salute. L’ho trovata molto interessante.
Il dottor Berrino parlava di un lavoro su tre dimensioni: quella della mente-spirito, quella del movimento fisico, quella della cura del cibo. Mi sento di esprimere alcune considerazioni e riflessioni di uno psicoterapeuta sulla dimensione psicologica dell’essere umano e qualche altro pensiero che via via mi è venuto in mente, un po’ come faccio nelle conferenze a tema che tengo presso il Centro del Benessere; in genere, preferisco parlare ma, vista la “clausura”, ho deciso di scrivere questo articolo.
In questo periodo di lockdown è stata mortificata e bloccata la possibilità di muoverci nel nostro ambiente, di spostarci, di viaggiare, di incontrarci e abbracciarci a nostro piacimento, con tutto il relativo carico di sofferenza, più o meno marcata a seconda di ciascuno. Tuttavia, mi è capitato di sentire alcune persone che hanno vissuto questa esperienza in modo sufficientemente sereno, anzi, anche bene. Ciò sottolinea che generalizzare, quando si parla dell’essere umano, è sempre un percorso rischioso e altamente riduttivo.
A mio avviso, il movimento della persona non è legato solo allo spostamento nello spazio esterno, ma alla possibilità di entrare dentro se stessi e prendere coscienza dei propri vissuti, delle proprie modalità di reagire agli eventi, di accedere allo spazio immaginativo, di cui anche i sogni fanno parte; la possibilità di una buona salute psicofisica è legata, tra le altre cose, alla vicinanza tra la nostra coscienza e il nostro mondo inconscio, valorizzando anche la dimensione del silenzio, tanto bistrattato in una società che basa la propria identità, per lo più, sulla potenza tecnologica e sulla dimensione della competitività. Può essere che questa situazione particolare abbia stimolato maggiormente il movimento dell’introspezione, della fantasia, della creatività.
Il dottor Berrino esprime l’idea che “l’amore nasce quando la mente muore”, “mente” da lui intesa come insieme di sovrastrutture; aggiungo che tali sovrastrutture impediscono e limitano l’apertura alla conoscenza di sé e dell’altro, al sapere e alla creatività. Le sovrastrutture più comuni sono il giudizio ipercritico, l’eccessiva compiacenza che limita l’affermazione di se stessi, del proprio desiderio e della propria progettualità nel mondo e modi di pensare massificanti, sia a livello individuale sia, soprattutto, sociale, che impediscono l’espressione della soggettività e della singolarità di ognuno.
L’arroganza, l’avidità e l’ignoranza di cui parla il dott. Berrino sono spesso il prodotto di antiche e gravi ferite relazionali mai sanate, frutto di umiliazioni inflitte al sé in evoluzione del bambino, al senso di vuoto e di sfiducia, alle ingiustizie subite. Se tutto ciò non è riconosciuto ed elaborato, gli antichi dolori chiedono udienza ma, purtroppo, in una forma distorta e “perversa”, che non tiene conto del rapporto umano e della relazione di scambio. Una delle “soluzioni” è la spasmodica ricerca del potere fine a se stesso e lo sfruttamento dell’altro come unica forma di sopravvivenza psichica, emotiva ed esistenziale.
Semplificando, l’essere umano è abitato da due logiche; la prima è la logica paranoica, che si esprime nella tendenza a proiettare la colpa, l’aggressività e la responsabilità sugli altri, sul mondo e comunque al di fuori di se stessi. Un pensiero prevalentemente “evacuativo”, dove il male e l’impuro sono sempre al di fuori di noi. La logica manichea tende a dividere rigidamente il male dal bene, il colpevole dall’innocente, il buono dal cattivo; l’intolleranza e l’accusa la fanno da padrone. Questo tipo di logica prevale in tanti programmi televisivi e le emozioni dominanti sono l’odio, la rabbia, l’idealizzazione di sé e la svalorizzazione dell’altro.
La seconda, più evoluta in termini tecnici, si definisce logica depressiva, nel senso che prendono spazio il senso di colpa e il rimorso per aver arrecato danno all’altro, sollecitando quindi aspetti riparativi di dialogo e di confronto. In altri termini, riconoscere in se stessi ciò che troppo facilmente viene attribuito agli altri e assumersene la responsabilità aiuta a sentirci parte in causa rispetto a ciò che ci accade e, quindi, eventualmente, a correggere il tiro rispetto a comportamenti e logiche non conformi alla nostra salute esistenziale e psicofisica.
In ciascuno di noi possono coabitare, in maniera diversa e con diversa intensità, queste due logiche o modi di vedere la realtà e i rapporti interpersonali (nei momenti di forte stress, può intensificarsi la logica paranoica). Un ostacolo all’apertura al dialogo e all’accoglimento della differenza e della diversità (per me valori importantissimi ma difficili da raggiungere) è dato dalla dimensione dell’“egocentrismo cognitivo”; in tale stato i rapporti, il mondo e le cose vengono visti da un’unica prospettiva (prevale il pensiero per cui, se qualcosa va bene a me, è scontato che vada bene anche all’altro), che impedisce di affinare e sviluppare le capacità di valorizzazione delle diversità individuali, culturali e antropologiche e, a livello globale, può sfociare in imperialismi culturali e tecnologici, dove la sola legge che la fa da padrona è la logica di un mercato senza regole.
A mio avviso, la pandemia più grave è quella della visione del mondo a una dimensione, della prospettiva di un mondo monolitico, in cui è difficile la coabitazione di culture differenti. Un pensiero particolare va alle tante comunità oppresse (abitate da sistemi di vita differenti dai nostri, che tendiamo a reprimere e a considerare primitivi) come gli Indios dell’Amazzonia o a molti popoli dell’Africa, ad esempio i Dogon del Mali, con la loro complessa struttura comunitaria; forse, avremmo qualcosa da imparare anche da loro…
Dott. Tiziano Benazzi